Come si diventa restauratori

A partire dal 2004, con il Codice dei beni culturali e del paesaggio (Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, in particolare l’art. 29), la formazione dei restauratori di beni culturali in Italia avrebbe dovuto essere profondamente innovata dalla legislazione nazionale. Un complesso organico di norme ha progressivamente definito i profili di competenza dei restauratori (D.M. 26 maggio 2009, n. 86Regolamento concernente la definizione dei profili di competenza dei restauratori e degli altri operatori che svolgono attività complementari al restauro o altre attività di conservazione dei beni culturali mobili e delle superfici decorate di beni architettonici, ai sensi dell’articolo 29, comma 7, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il codice [sic] dei beni culturali e del paesaggio) e i livelli di qualità cui avrebbe dovuto adeguarsi l’insegnamento del restauro (D.M. 26 maggio 2009, n. 87Regolamento concernente la definizione dei criteri e livelli di qualità cui si adegua l’insegnamento del restauro, nonché delle modalità di accreditamento, dei requisiti minimi organizzativi e di funzionamento dei soggetti che impartiscono tale insegnamento, delle modalità della vigilanza sullo svolgimento delle attività didattiche e dell’esame finale, del titolo accademico rilasciato a seguito del superamento di detto esame, ai sensi dell’articolo 29, commi 8 e 9, del Codice dei beni culturali e del paesaggio).

Le istituzioni formative, pubbliche o private, devono sottostare a una precisa procedura di accreditamento e di vigilanza dimostrando il rispetto di specifici criteri di qualità sulla didattica, l’organizzazione interna, l’assetto dei corsi e le dotazioni dei laboratori. Tuttavia i livelli di qualità degli insegnamenti risultano assai variabili e incerti, segnatamente per quanto previsto dal D.M. 87/2009 il quale prescrive  all’art. 3 che «una percentuale fra il 50% e il 65% dell’insegnamento complessivo (…) sia riservata alle attività tecnico-didattiche di conservazione e restauro svolte in laboratorio» nonché all’art. 8 che «Per garantire uno standard di qualità minimo dell’insegnamento, una percentuale non inferiore all’80% delle attività tecnico-didattiche deve essere svolta su manufatti qualificabili come beni culturali ai sensi del Codice».

Le istituzioni formative accreditate al rilascio dei diplomi abilitanti all’esercizio della professione di restauratore del patrimonio culturale sono incluse nell’elenco pubblicato dal Ministero dei beni e delle attività culturali (elenco ministeriale). Per quanto riguarda il percorso formativo professionalizzante 5: Materiale librario e archivistico; manufatti cartacei e pergamenacei; materiale fotografico, cinematografico e digitale, le istituzioni elencate sono le seguenti:

1. Istituto Centrale per il Restauro e la Conservazione del Patrimonio Archivistico e Librario – Scuola di Alta Formazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali

2. Opificio delle Pietre Dure di Firenze – Scuola di Alta Formazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali

3. Università degli Studi di Roma, Tor Vergata

4. Accademia di Belle Arti di Bologna

5. Accademia di Belle Arti di Brera (Milano)

6. Università degli studi di Palermo

7. Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia – Direzione Centrale cultura, sport, relazioni internazionali e comunitarie – Centro di Catalogazione e Restauro della Regione Friuli Venezia Giulia con sede Villa Manin di Passariano di Codroipo

8. Università degli Studi di Torino – Interfacoltà Conservazione e Restauro dei Beni Culturali (Facoltà di Scienze MFN-Facoltà di Lettere e Filosofia) in convenzione con Fondazione Centro Conservazione e Restauro ‘La Venaria Reale’.

Va considerato che l’elenco disponibile nel sito ministeriale risulta aggiornato al marzo 2018 ma che alcune istituzioni, ancorché accreditate, hanno sospeso nel frattempo tale attività.